OMEOPATIA scienza o fantasia ?


La grande differenza tra la medicina classica e l'omeopatia (dal greco homoios, simile, e pathos, malattia) sta proprio nella sua definizione, coniata nella prima metà del XIX secolo dallo stesso fondatore, il medico tedesco Samuel Hahnemann. Alla base della medicina omeopatica sta infatti l'indimostrata legge di similitudine, concetto espresso da Hahnemann, secondo il quale una sostanza assunta a dosi ponderali può provocare in un individuo sano sintomi e segni patologici, mentre la stessa sostanza somministrata in dosi infinitesimali, può guarire una persona malata con gli stessi sintomi. Si tratta di un concetto privo di fondamento scientifico.
 
La sostanza utilizzata per curare la patologia identificata, è detta anche "principio omeopatico", ed una volta individuata viene somministrata al malato in una quantità fortemente diluita e dinamizzata.
Curare significa per il medico omeopata confrontare i sintomi riferiti dal soggetto malato con i sintomi indotti dalle sostanze sperimentate e somministrare al paziente quel rimedio che nel soggetto sano provoca una sindrome simile.

Limitazioni e criticità nell’omeopatia

Allo stato attuale, nessuno studio scientifico, pubblicato su riviste di valore riconosciuto, ha potuto dimostrare che l'omeopatia presenti una minima efficacia per una qualsiasi patologia.
Gli unici risultati statisticamente significativi sono confrontabili con quelli derivanti dall'effetto placebo e quindi non dal farmaco assunto dal paziente.

Diversi studi clinici condotti su singoli rimedi o sul trattamento di specifiche patologie, dimostrano che gli esiti appaiono assolutamente in linea col noto effetto placebo.
Inoltre nel febbraio 2010 sono stati pubblicati i risultati di una ricerca sulle prove di efficacia dell'omeopatia, condotta nel 2009 e 2010 dalla commissione Science and Technology della Camera dei Comuni britannica: lo studio conclude che l'omeopatia non ha effetti superiori a quelli di un placebo. La commissione la considera pertanto un "trattamento placebo" (placebo treatment) e dichiara che sarebbe una "cattiva pratica medica" (bad medicine) prescrivere placebo puri.
Mancanza di efficacia terapeutica

La validità dell'omeopatia non è mai stata dimostrata mediante esperimenti o ricerche. Gli studi condotti in base ai principi della scienza medica ne hanno viceversa dimostrato l'inefficacia in quanto incompatibile con le odierne conoscenze chimiche, biologiche e farmacologiche.

L'opinione degli omeopati, contraria all'evidenza scientifica, è che diluizioni maggiori della stessa sostanza non provocherebbero una riduzione dell'effetto farmacologico, bensì un suo potenziamento. In realtà le diluizioni usate nell'omeopatia sono così elevate da rendere il prodotto omeopatico semplicemente composto dall'eccipiente usato per la diluizione (acqua, zucchero o amido o altro solvente).
Si ricorda infatti, che per produrre l’effetto desiderato il farmaco deve avere una concentrazione tale da poter produrre una risposta farmacologica di una certa intensità (dose efficace). Concentrazioni più basse daranno risposte sempre minori fino a non produrre alcuna risposta nel paziente. In particolare, una concentrazione del farmaco inferiore a quella della sua dose minima efficace non produrrà alcuna risposta farmacologica.

Diluizioni e principi di Chimica


La diluizione, concetto fondamentale sul quale si appuntano le critiche maggiori, viene detta in omeopatia "potenza". Le potenze sono in realtà diluizioni 1 a 100 (potenze centesimali o potenze C o anche CH) o diluizioni 1 a 10 (potenze decimali o potenze D o anche DH). In una diluizione C una parte di sostanza viene diluita in 99 parti di diluente e successivamente "dinamizzata", ovvero agitata con forza secondo un procedimento chiamato dagli omeopati "succussione"; in una diluizione D, invece, una parte di sostanza viene diluita in 9 parti di diluente e sottoposta poi alla stessa dinamizzazione.
I solidi insolubili vengono triturati e diluiti un certo numero di volte con zuccheri (ad esempio lattosio) e successivamente diluiti in acqua.
Ogni sostanza omeopatica pronta per l'impiego riporta il tipo di diluizione e la potenza. Ad esempio, in un rimedio con potenza 12CH la sostanza originaria è stata diluita ogni volta 1 a 100 per 12 volte, per un totale di una parte su 10012.
Una potenza 12D, equivale invece ad una soluzione la cui concentrazione è una parte su un milione di milioni (1012).
Numerosi preparati omeopatici sono diluiti a potenze ancora maggiori, in qualche caso sino a 30CH ed oltre.
A potenze elevate, e in particolare a partire proprio da 12C o da 24D, le leggi della chimica provano che il prodotto finale è così diluito da non contenere più neppure una molecola della sostanza di partenza. Infatti, il numero di molecole contenuto in una mole di sostanza è dato dal numero di Avogadro, che è uguale a circa 1024 molecole/mole (6,02214179(30) 1023 mol −1): quindi, mediante una diluizione 12C o una 24D della stessa mole di sostanza, si raggiunge un livello di concentrazione pari a 0,6022 molecole, il che comporta, (premesso che ogni molecola è di per sé indivisa) che l'ultimo quantitativo di soluzione contenga una sola molecola del farmaco, su 6,02214179x1023 molecole di solvente. Diluizioni ulteriori della sostanza risultano quindi prive di qualunque traccia della sostanza stessa. Questa esigua ed incerta presenza del rimedio omeopatico di partenza, dopo la preparazione per diluizioni successive, rende indistinguibili preparati omeopatici originariamente diversi fra loro e destinati a specifiche terapie. Infatti, se dopo le succussioni, a un certo numero di contenitori di preparazioni diverse fra loro vengono rimosse le etichette identificative e gli stessi disposti in ordine del tutto casuale, non esiste alcun metodo di analisi chimico-fisica che possa distinguerli, consentendo di riposizionare su ciascuno dei medesimi le etichette originali.

L’omeopatia non è fitoterapia !

È diffusa l’opinione, totalmente errata, che l’omeopatia sia una sorta di fitoterapia o addirittura di erboristeria. La confusione nasce probabilmente da concetti come il cosiddetto “naturale” o perché molti medicinali omeopatici hanno come principio una sostanza di origine vegetale. L’omeopatia non ha nulla a che vedere con la fitoterapia. Quest’ultima, utilizza molecole estratte da piante o parti di esse (fitocomplessi o estratti standardizzati) a concentrazioni in cui valgono le leggi della chimica, paragonabili a quelle dei farmaci convenzionali e di comprovata efficacia terapeutica. Inoltre, la differenza sostanziale è sul principio poiché la fitoterapia si avvale della sostanza/fitocomplesso che elimina o riduce la malattia/disturbo, l'omeopatia impiega invece quella che la provoca.


Aspetti legislativi

Nonostante non sia stata prodotta alcuna prova, accettata dalla comunità scientifica internazionale, che l'omeopatia sia una metodica valida. Tuttavia la legislazione delle diverse nazioni ne ha inquadrato l'utilizzo. La direttiva 2001/83/CE dell'Unione Europea definisce medicinale omeopatico "ogni medicinale ottenuto a partire da sostanze denominate materiali di partenza per preparazioni omeopatiche o ceppi omeopatici, secondo un processo di produzione omeopatico descritto dalla farmacopea europea o, in assenza di tale descrizione, dalle farmacopee utilizzate ufficialmente negli Stati membri della Comunità europea; un medicinale omeopatico può contenere più sostanze". Tuttavia, (qui la prima contraddizione), l'art. 8 della suddetta direttiva prescrive chiaramente che il foglietto illustrativo o la confezione debba riportare obbligatoriamente la seguente dicitura "senza indicazioni terapeutiche approvate". In modo tale da garantire informazione e cautela. Tale paradossale definizione, da una parte, inquadra il preparato come "medicinale”, dall'altro obbliga il produttore a dichiararne la sostanziale inefficacia ai fini terapeutici.
Inoltre, sempre la legislazione corrente vieta la pubblicità dei medicinali omeopatici ed anche il foglietto illustrativo è assente in confezione (per il semplice motivo che il produttore non potrebbe riportare alcuna indicazione terapeutica comprovata e dimostrata). Ne consegue che, a parte l'automedicazione, solo il medico o il farmacista possono, rispettivamente, prescrivere o consigliare un prodotto omeopatico al posto di uno convenzionale. Con ciò appare piuttosto evidente, che anche in questo caso, vi è un’ altra contraddizione da parte del legislatore. Ovvero, da una parte si definisce il preparato omeopatico "medicinale" e si obbliga a venderlo solo in farmacia, dall'altra si obbliga a trattarlo, dal punto di vista informativo, per quello che sostanzialmente è: nulla.
Un'altra contraddizione sta nel fatto che il medicinale omeopatico, in diversi casi costituito esclusivamente da zucchero o acqua (vedi oscillococcinum), debba essere solo prescritto da medici (o pediatri o veterinari) oppure suggerito dal farmacista, e comunque venduto esclusivamente in farmacia. Questo però deriva dal semplice fatto che, per legge, il prodotto omeopatico è “medicinale” e pertanto solo i farmacisti possono fornirlo al paziente (o il medico se lo prepara egli stesso).
Tale situazione, porta a confondere il cittadino in quanto si potrebbe intendere che i preparati omeopatici abbiano una qualche utilità, quando invece è dimostrato il contrario. 

Bibliografia:

  • Simon Singh; Edzard Ernst, Aghi, pozioni e massaggi. La verità sulla medicina alternativa, Rizzoli, settembre 2008, ISBN 978-88-17-02601-7.
  • Samuel Hahnemann. Scritti omeopatici. 1795-1833, a cura di Andrea L. Carbone,: duepunti edizioni, Palermo 2009. ISBN 978-88-89987-29-2
  • Samuel Hahnemann. Organon der Heilkunst, 1842 (6. ed.).
  • Cagliano S, Fraioli L. La fisica dell'omeopatia, Le Scienze 452, marzo 2005.
  • Becker-Witt C, Lüdtke R, Willich SN. The course of chronic disease under homeopathic treatment– results of a multicenter observational study. Gac Sanit 2003; 17(Suppl 2):174
  • Becker-Witt C, Lüdtke R, Weber K, Willich SN. The effects of homoeopathic therapy on health-related quality of life, Focus on Alternative and Complementary Therapies 2003; 8: 125.
  • Jonas, Wayne B.; Kaptchuk, Ted J.; Linde, Klaus. A Critical Overview of Homeopathy, Ann Intern Med. 2003;138:393-399.
  • Shang A, Huwiler-Müntener K, Nartey L, Jüni P, Dörig S, Sterne JA, Pewsner D, Egger M. Are the clinical effects of homoeopathy placebo effects? Comparative study of placebo-controlled trials of homoeopathy and allopathy
  • The Lancet - Vol. 366, Issue 9487, 27 agosto 2005, pagg. 726-732
  • Omeopatia: gli studi scientifici che ne provano l'efficacia, Guna Ed., maggio 2004, Milano, seconda edizione.
  • Roberto Germano, AQUA. L'acqua elettromagnetica e le sue mirabolanti avventure, Bibliopolis ed., 2007.
  • Homeopathy, Volume 96, Issue 3: The Memory of Water, July 2007, Pages 141-230
  • Robert L. Park. Voodoo Science, Oxford University Press, 2002, pages 46–67.
  • Ben Goldacre. Benefits and risks of homoeopathy. The Lancet - Vol. 370, Issue 9600, 17 November 2007, Pages 1672-1673
  • Silvio Garattini et al., Acqua fresca? - Tutto quello che bisogna sapere sull'omeopatia, Sironi Editore, 2015, ISBN 978-88-518-0248-6.



FDA approva una terapia genica per il trattamento di alcuni tipi di linfomi a grandi cellule B

Si riporta il comunicato dal sito dell'AIFA:
La statunitense Food and Drug Administration (FDA) ha approvato Yescarta (axicabtagene ciloleucel), una terapia genica per il trattamento di alcuni tipi di linfomi a grandi cellule B negli adulti che non hanno risposto o hanno subito una ricaduta dopo almeno due precedenti trattamenti.

Le indicazioni di Yescarta comprendono il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL), il linfoma diffuso a grandi cellule B primitivo del mediastino, il linfoma a cellule B ad alto grado e il DLBCL derivante dal linfoma follicolare, mentre non è stato approvato per il trattamento del linfoma primario del sistema nervoso centrale.

Il linfoma diffuso a grandi cellule B è il tipo più comune di linfoma non-Hodgkin negli adulti.

Yescarta, la seconda terapia genica approvata dall’FDA, è una terapia CAR-T cell, ovvero prevede l’utilizzo di linfociti T geneticamente modificati con recettori chimerici per l’antigene.

La sicurezza e l’efficacia di Yescarta sono state valutate in uno studio clinico multicentrico su oltre 100 adulti con linfoma a cellule B di tipo refrattario o recidivante. Il tasso di remissione completa dopo il trattamento con Yescarta è stato del 51%.

Yescarta può causare gravi effetti collaterali, anche pericolosi o fatali per la vita, come la sindrome da rilascio di citochine (CRS), una risposta sistemica all’attivazione e alla proliferazione di cellule CAR-T che provoca febbre alta, sintomi influenzali e tossicità neurologiche. Altri effetti indesiderati includono infezioni gravi, abbassamento dei livelli di cellule del sangue e indebolimento del sistema immunitario. Gli effetti indesiderati si manifestano solitamente entro le prime due settimane, ma alcuni possono verificarsi anche in seguito.

A causa di questi rischi, per l’approvazione di Yescarta è stata seguita una strategia di valutazione e riduzione del rischio (REMS), in base alla quale è richiesto che i medici prescrittori siano particolarmente certificati, in grado di riconoscere e gestire la CRS e le tossicità del sistema nervoso, e i pazienti vengano informati dei potenziali effetti collaterali.

Per valutare ulteriormente la sicurezza a lungo termine, l’FDA ha richiesto al produttore anche di condurre uno studio osservazionale post-marketing che coinvolga pazienti trattati con Yescarta.



Per la notizia originale vai al sito dell’FDA

CALCOLI RENALI guida alla prevenzione e terapia


La calcolosi renale, o urolitiasi, è una condizione clinica caratterizzata dalla presenza di uno o più calcoli di dimensioni variabili,contenuti all’interno delle cavità escretrici del sistema urinario.
Quando è formata da cristalli di dimensioni molto ridotte, come granelli di sabbia, prende il nome di renella, ed è formata soprattutto da urati e fosfati.
I calcoli urinari si formano tipicamente nel rene e possono spostarsi all'interno del apparato urinario fino a lasciare l'organismo insieme al flusso di urina.
Se un calcolo diventa più grande di 5 millimetri, può causare il blocco dell'uretere con un
conseguente forte dolore nella parte bassa della schiena o dell'addome che si estende fino all’inguine (colica renale).

colica renale
La colica è comunemente accompagnata da stimolo urinario, irrequietezza, ematuria, sudorazione, nausea e vomito. Si tratta tipicamente di fitte della durata variabile tra i 20 e i 60 minuti, causate dalle contrazioni peristaltiche dell'uretere che tenta di espellere il calcolo.
In caso di coliche renali è necessario oltre al riposo a letto un’abbondante introduzione di liquidi per os o per via parenterale se c’è vomito: 3-4 l/die.
L’assunzione di analgesici quali ketorolac (Toradol) o in alternativa Diclofenac (Voltaren) 75 mg è necessaria per il controllo del dolore.
Altresì è indicata l’assunzione di spasmolitici Es. Buscopan, Genurin 1-2 f ev o im seguite da 1-2 fiale diluite in flebo in caso di somministrazione di liquidi.
Risolta la fase acuta, si cercherà di favorire l’eliminazione del calcolo mediante introduzione di grandi quantità di liquidi associati a spasmolitici (colpo d’acqua), se non si ottengono risultati si potrà ricorrere a cateterismo ureterale ed estrazione tramite estrattori o a litotrisia.
 
Il rischio di calcolosi renale è del 20% negli uomini e del 5-10% nelle donne (Nakada, Current Therapy 2003). Dopo il primo episodio il rischio di recidive, senza terapia, è del 50% a 5 anni e del 70% a 10 (Pearle, Current Therapy 2004). 

Un’adeguata terapia invece, riduce le recidive anche del 90%.

 
Prevenzione:

Un'abbondante introduzione di liquidi (in particolare acque oligo-minerali) da somministrare anche durante la notte è la prima accortezza da prendere. La diuresi giornaliera, che dovrà essere minimo di 2 litri anche se 3-4 sono preferibili infatti una diuresi di 2-3 l/die, riduce l’incidenza di calcolosi renale del 75% (Pearle, Current Therapy 2004).

L’assunzione di Soluzione Schoum può aiutare nel caso di infiammazioni urogenitali legate ad una tendenza litiasica, oltre a favorire la diuresi per la sua blanda azione diuretica;
Evitare farmaci che favoriscono la formazione di calcoli quali gli inibitori delle proteasi: Indinavir;
Una dieta in rapporto alla natura dei calcoli aiuta ad evitare eventuali recidive (vedi sotto)

Terapia specifica suddivisa per tipologia di calcoli:

- Acido urico: solitamente hanno un incidenza del 5-10 %

Dieta: Limitazione dei cibi carnei compresi i pesci.
Evitare cioccolata, fagioli, piselli, spinaci, tè, caffè e vino. Saranno permessi: caffè decaffeinato, frutta, formaggi, latte, latticini e uova.

Terapia: Alcalinizzanti urinari possono sciogliere calcoli già formati. È preferibile utilizzare il citrato di potassio contenuto nell’Uralyt-U alle dosi di 10-30 mEq/12h o 4 misurini/die. Il pH dovrà essere elevato > 6,5, ma < 7, per evitare precipitazione di fosfati (Troxel, Current Therapy 2002). Ad un pH di 5 l’urina può contenere disciolti 60 mg di urati/litro, a pH 6 ne può contenere 220 mg.
In caso di iperuricemia ed escrezione urinaria di acido urico > 750 mg/die nel uomo o > 600 mg/die nella donna o > 11 mg/kg/die (Pearle, Current Therapy 2004) bisogna somministrare Allopurinolo Zyloric cps 100-300 mg, bust 300 mg, alle dosi di 300-600 mg/die.
I calcoli possono sciogliersi in 3-6 mesi di terapia, dopodiché può essere sospesa, a meno che il paziente non abbia gotta, tumore, ileostomia.

- Fosfato e/o Ossalato di Calcio: Incidenza del 5-10% per il Fosfato e 70-80% per l’Ossalato di calcio (i più comuni)

Dieta: Diminuire l’apporto di calcio (latte e latticini) con la dieta ed ingerire molti cereali ricchi di acido fitico che legandosi al calcio, forma un composto insolubile e non assorbibile. Il calcio della dieta non deve essere ridotto < 0,4 gr/die, altrimenti aumenta l’escrezione renale di ossalato e diminuisce quella del pirofosfato (Cooper, Current Surg. Diag. & Treat. 2003). 
La restrizione del Sodio < 100 mEq/die ,invece, riduce l’assorbimento intestinale del calcio e associata alla restrizione delle proteine animali sarebbe più efficace della restrizione del calcio nella prevenzione dei calcoli di ossalato (Borghi, N. Engl. J. Med. 346, 77;2002).
Evitare eccessi (> 1 gr) di vitamina C che, in alcuni casi, può essere metabolizzata ad ossalato. Sconsigliabili cibi quali cioccolata, spinaci, cavoli, pomodori, piselli, rabarbaro, asparagi, tè, aranciata, limonata, coca-cola, pompelmo, tutti ricchi di ossalati che, in assenza del calcio, rimangono nella forma assimilabile provocando iperossaluria.

Terapia: I diuretici Tiazidici riducono la calciuria del 50% aumentando il riassorbimento di Calcio nel tubulo distale. Idrocloratiazide (Esidrex) 25-50 mg/die, (il massimo effetto si ha in 1-2 settimane). Efficaci nel 90% dei casi.
Entro 5 anni l’effetto si riduce. Una dieta iposodica ne potenzia l’effetto.
L’assunzione di fosfato acido di potassio 2-6 gr/die. Diminuisce l’assorbimento intestinale del calcio e quindi la calciuria. Controindicato in caso di insufficienza renale. Effetti collaterali: dispepsia e diarrea. Se compare diarrea diminuire le dosi. Iniziare con piccole dosi dopo i pasti. Controindicazioni: ulcera peptica e patologia colica.
I citrati sono potenti inibitori della formazione di calcoli di ossalato di calcio e una ipocitraturia c’è nel 40% della calcolosi di calcio.
L’ipocitraturia può essere dovuta ad acidosi tubulare renale, esercizi fisici estremi, diarrea cronica ecc. Se i livelli di citrato sono < 320 mg/die sarà utile aggiungere delle spremute di limone nell’acqua che si beve. Utile anche il citrato di potassio, 40-60 mEq/die, che determina una aumentata escrezione renale di potassio e citrati.

-Cistina hanno un incidenza dell’ 1-2%

Dieta: deve essere il più possibile povera di metionina, precursore della cistina, quindi bisogna evitare uova (specie l’albume), carne di vitello e maiale, latte vaccino, aringhe e frutta secca.
E’ importante un’ abbondante assunzione di acqua duranti i pasti e al momento di coricarsi fino ad ottenere una diuresi di 3 litri/die e alcalinizzanti (fino a 2 gr di bicarbonato o 40 mEq di citrato di potassio) al fine di mantenere il pH urinario > 7,5 .
Utile anche il citrato di potassio perchè determina una aumentata escrezione renale di potassio e citrati (Joel, Current Therapy 2005). È la cosa più importante che rende spesso non necessaria la terapia medica.

Terapia: Bisogna mantenere la cistinuria < 200 mg/L.
Tiopronina o α-mercapto propionylglicina (Thiola) cpr 250 mg, f im ev 100-250 mg. E’ di scelta anche se è più efficace nella prevenzione che nel trattamento. Lega la cistina e ne aumenta la solubilità, ha scarsi effetti collaterali quindi preferibile rispetto alla d-penicillamina impiegata in passato (Joel, Current Therapy 2005). Dose: 0,5-1 gr/die in modo da mantenere la concentrazione urinaria di cistina < 300 mg/L. È indicata se la cistinuria è > 800-1.000 mg/die e la terapia idrica e alcalinizzante è inefficace (Pearle, Current Therapy 2004).
D Penicillamina Pemine è capace di trasformare la cistina in sostanza solubile, ma spesso è mal tollerata (rash, proteinuria, agranulocitosi, artralgie, febbre) e quindi raramente impiegata. Ogni grammo è in grado di solubilizzare 3 gr di Cistina.

-Struvite o fosfato triplo ammonio-magnesio e carbonato di calcio apatite

Sono frequenti nelle donne con infezioni recidivanti e persone con patologie predisponenti alla stasi urinaria. Si formano, infatti, in urine alcaline per infezioni da batteri produttori di ureasi (Proteus, Klebsiella, Pseudomonas, Serratia). Si verifica una sovrasaturazione di fosfato di calcio, ammonio e magnesio che precipitano sotto forma di cristalli di struvite a cui spesso si associano idrossiapatite (fosfato di calcio diidrato) e carbonato di calcio.  

Fondamentale è la terapia mirata delle infezioni urinarie. Spesso occorre rimuovere tutti i calcoli per debellare l’infezione. Gli antibiotici andranno mantenuti per 6-12 mesi.
Un eventuale terapia chirurgica di anomalie delle vie urinarie e rimozione dei calcoli presenti spesso è necessaria. Altre accortezza: Ridurre l’apporto di Mg evitando antiacidi e lassativi che lo contengono. Mantenere la fosfaturia < 500 mg/die con la dieta e idrossido di alluminio.

GALENICA: MINOXIDIL lozione, come si prepara


Il minoxidil è un farmaco ad attività vaso-dilatatoria usato per favorire la ricrescita dei capelli. Agisce sui centri germinativi non atrofici del capello ed è in grado di fermarne e talvolta invertirne la miniaturizzazione (ovvero l’involuzione del pelo terminale a pelo vellus tipica del defluvio androgenetico) tipica dell'alopecia androgenica. Ha azione locale ed è somministrato per via topica.
L’efficacia del minoxidil come anticalvizie è ormai accertata.
È chiaro che il farmaco può agire solo dove esiste un centro germinativo, non potrà quindi mai far crescere peli sui polpastrelli o su una zona di alopecia cicatriziale. L’effetto terapeutico comincia a manifestarsi dopo un periodo di latenza di circa 4 mesi. Il minoxidil combatte il sintomo, ossia la progressiva miniaturizzazione dei capelli, ma non agisce minimamente sulle cause genetico-endocrine della calvizie, pertanto la sua efficacia sembra perdurare solo finché viene applicato. Inoltre al momento della sospensione della terapia i follicoli tenuti artificialmente in anagen passano rapidamente in catagen/telogen (fase di “morte” e caduta del capello) provocando un effluvio.
Di seguito riportiamo una delle preparazioni officinali per minoxidil 2% riportata nella farmacopea ufficiale britannica (B.P. 2016) che è la fonte di legittimazione per la produzione galenica del Minoxidil in farmacia.

galenica minoxidil
Minoxidil lozione (Monografia Minoxidil Scalp Application B.P. 2016)

Composizione:

minoxidil              g 2
etanolo 96%         g 40,25
glicole propilenico  g 10
EDTA disodico       g 0,01
acqua depurata    q.b a ml 100

Preparazione: solubilizzare completamente sotto agitazione il minoxidil nella miscela glicole propilenico + etanolo, quindi aggiungere sempre sotto agitazione l’acqua.

Data limite utilizzazione: max 6 mesi dalla di preparazione con tali eccipienti.

Avvertenze di conservazione:
E’ importante conservare correttamente la soluzione poiché la parte alcolica (specie nei mesi estivi) tende ad evaporare, causando un aumento della concentrazione dei principi attivi con conseguente comparsa di effetti collaterali (es. irritazione del cuoio capelluto e sensibilizzazione cutanea); nei casi peggiori si può addirittura arrivare alla cristallizzazione e precipitazione del minoxidil con conseguente perdita di efficacia del farmaco.

NOTA IMPORTANTE per il farmacista:
Ad esclusione del minoxidil galenico al 1% e 2% (incluso) che è vendibile senza ricetta medica, TUTTE le altre preparazioni sono allestite dietro presentazione di ricetta medica (ripetibile o non ripetibile a seconda dei casi).
Il minoxidil galenico viene preparato con formulazioni standardizzate o codificate in testi ufficiali (Farmacopea che prevede acqua, alcool e glicole propilenico), ma in base alle richieste del medico o del paziente può essere preparato con eccipienti diversi in proporzioni differenti o più gradevoli (es. minoxidil galenico senza glicole propilenico).

IPERICO e dipendenza da cocaina


L'iperico (L.) (nome scientifico Hypericum perforatum), è una pianta officinale
appartenente alla famiglia delle Clusiaceae. Chiamata con molti nomi comuni: erba di San Giovanni, scacciadiavoli, erba dell’olio rosso; è un'erba medicinale conosciuta e usata da molti secoli

Hypericum perforatum
 
Diversi studi hanno dimostrato che l'iperico ha un'efficacia paragonabile ad
alcuni psicofarmaci nella cura della depressione lieve e moderata. Molte classi chimiche sono da considerarsi corresponsabili a tale attività: naftodiantroni (ipericina, pseudoipericina), floroglucinoli (iperforina), flavonoidi (amentoflavone). L'iperforina  presente nel fiore e nel frutto, è in grado di inibire il reuptake della serotonina in modo diverso dagli SSRI (Selective Serotonin Reuptake Inhibitor).
Tali proprietà farmacologiche suggeriscono un potenziale ruolo del fitocomplesso nel ridurre la dipendenza da cocaina. Difatti, vari studi hanno dimostrato come l’iperico sia l’unico antidepressivo in grado di inibire la ricaptazione delle monoamine: dopamina, serotonina e noradrenalina con potenze simili e di normalizzare la trasmissione dopaminergica e noradrenergica nella corteccia prefrontale mediale (Nathan, 1999; Nathan, 2001); influenzando quindi il circuito dopaminergico della ricompensa coinvolto, come è noto, nel fenomeno della drug addiction.
A tal proposito, recenti studi effettuati in topi maschi adulti con dipendenza da cocaina indotta (mediante somministrazioni quotidiane di cocaina per 12gg). Hanno dimostrato che l’estratto secco di H. perforatum standardizzato (0,3 % di ipericina) riduce in maniera significativa alcuni dei sintomi di astinenza, in particolare, lo stato ansioso, il deficit di apprendimento e le alterazioni del comportamento sociale rispetto al gruppo di controllo (trattato solo con cocaina).
Tali risultati fanno ben sperare in un possibile futuro impiego terapeutico nel trattamento della dipendenza da cocaina.

Bibliografia:
1) The experimental and clinical pharmacology of St John's Wort (Hypericum perforatum L.). Brain Sciences Institute, Swinburne University of Technology, 400 Burwood Road, Hawthorn 3122, Victoria, Australia. 
2) Mechanism of action of St John's wort in depression : what is known? Butterweck V.
3)Reinstatement of cocaine conditioned place preference induced by social defeat stress is blocked by Hypericum perforatum L.F. Fugazzotto; M.P. García-Pardo; J. Miñarro; M. Rodríguez-Arias; M.A. Aguilar; F. Occhiuto

Gravi reazioni avverse epoetine umane

L’AIFA ha pubblicato sul portale una Nota Informativa Importante che informa gli operatori sanitari del rischio di gravi reazioni avverse cutanee in pazienti trattati con le epoetine darbepoetina alfa, epoetina alfa, epoetina beta, epoetina teta, epoetina zeta e metossipolietilenglicole-epoetina beta.
Sono stati segnalati in pazienti trattati con epoetine,  casi di sindrome di Stevens-Johnson (SJS) e necrolisi epidermica tossica (NET), alcuni dei quali hanno avuto esito fatale. 


Tali gravi reazioni avverse sono considerate un effetto di classe per tutte le epoetine. Le reazioni si sono dimostrate più severe con epoetine a lunga durata d’azione. La frequenza di queste gravi reazioni cutanee non può essere calcolata, poiché si verificano molto raramente.
I pazienti devono essere informati dei seguenti segni e sintomi di gravi reazioni cutanee, quando iniziano il trattamento con una epoetina.

Si riporta il lettore alla NOTA INFORMATIVA epoetine 

Alopecia androgenica (calvizie)


L’alopecia androgenica è la tipologia di calvizie più comune e interessa il 70% degli uomini e circa il 40 % delle donne. Pur non essendo una vera e propria patologia, viene spesso vissuta come un profondo disagio, con ripercussioni negative sul piano psicologico e sociale. L'uomo tipicamente presenta una recessione dell'attaccatura alle tempie e perdita di capelli al vertice, mentre la donna normalmente ha un diradamento diffuso su tutta la parte alta dello scalpo.



Ma a cosa è dovuta ?


La maggior frequenza dell'alopecia androgenica nell'uomo rispetto alla donna è legata all'attività della 5alfa-reduttasi di tipo II, che trasforma il testosterone in diidrotestosterone (ormone quantitavamente maggiore nell’uomo) . Diversamente da quanto erroneamente si è portati a credere, infatti, gli unici androgeni che danneggiano il cuoio capelluto sono il diidrotestosterone (DHT) e l'androstenedione (cataboliti del testosterone), mentre il testosterone non ha alcuna azione dannosa al livello dei capelli. Per cui livelli più elevati di questo ormone non sono necessariamente correlati a calvizie. È stato accertato che l'origine dell'alopecia androgenica risiede nell'effetto di diidrotestosterone e l'androstenedione nei follicoli piliferi. Inoltre, ono colpiti solo i follicoli predisposti. Questi, sono tipicamente localizzati nella regione frontale e nel vertice (vertex). Pertanto la maggior parte delle persone colpite da alopecia androgenica quasi sempre mantiene capelli sani nella zona della corona, che corrisponde alle aree occipitali e temporali del capo. Condizione definita come “corona ippocratica”, e di rado progredisce verso una calvizie completa.
Non vi è ancora l'assoluta certezza riguardo ai geni causanti l'alopecia androgenica. Sicuramente, sono responsabili i geni che controllano gli enzimi 5α reduttasi. La trasmissione ereditaria è quindi molto complessa. È stato dimostrato che la maggior parte dei geni coinvolti risiedono sul cromosoma X. Ovvero quello che la madre trasmette al figlio maschio, o che madre e padre trasmettono alla figlia femmina. L'ereditarietà verso un figlio maschio è maggiore secondo il cromosoma X che la madre ha ereditato dal padre, così la maggiore trasmissione avviene dal nonno materno al proprio nipote anziché da padre a figlio.

Eziopatogenesi:

Il processo patologico fondamentale consiste nell'accelerazione, sotto stimolo androgenico, della fase mitotica del ciclo pilare (anagen I-V) e nella conseguente riduzione della fase differenziativa, che è normalmente lunghissima a favore di quella di involuzione (catagen) e di riposo (telogen). Come conseguenza si assiste ad una miniaturizzazione dei follicoli interessati. I capelli divengono sempre più corti e sottili, fino a non riuscire a coprire adeguatamente il cuoio capelluto. Generalmente nell'uomo si assiste alla stempiatura, ossia nella parte frontale del capo i capelli diventano più fini e diradati. Successivamente lo stesso accade nel vertice. Infine la calvizie interessa tutta la parte superiore del capo. Nella calvizie androgenica vengono persi soltanto i capelli nella regione frontale perché in questa zona la 5α reduttasi è più attiva, quindi vi è una maggiore quantità di DHT. Inoltre, è la parte più periferica della circolazione sanguigna del cuoio capelluto, e quindi quella che va più incontro all'atrofia dei vasi. Altro fattore critico è dato dalla diminuzione delle aromatasi follicolari (enzimi che convertono il testosterone in estrogeni, con effetto fortificante sul capello). E’ altresi importante il nutrimento dei bulbi. Poiché come suddetto, l'area più periferica della circolazione sanguigna è il cuoio capelluto.

Terapie farmacologiche efficaci:

L’alopecia androgenica può essere contrastata mediante l’impiego di specifici farmaci:
Minoxidil (Regaine) al 2-5% per uso topico, due applicazioni/die per almeno dodici mesi rappresenta la terapia più efficace. Il minoxidil stimola la crescita e stabilizza la perdita dei capelli in individui affetti da alopecia androgenica. Il preciso meccanismo d’azione del minoxidil per il trattamento topico dell’alopecia non è stato del tutto compreso, ma il minoxidil può bloccare il processo di perdita dei capelli e stimolare la ricrescita in caso di alopecia androgenetica nei seguenti modi:
• aumento del diametro del fusto dei capelli;
• stimolazione della crescita anagen;
• prolungamento della fase anagen;

• stimolazione della ripresa anagen dalla fase telogen.

Inoltre, come vasodilatatore periferico, il minoxidil topico migliora la microcircolazione ai follicoli piliferi. Il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF) è stimolato dal minoxidil e VEGF è probabilmente responsabile della maggior fenestrazione capillare, indicativa dell’alta attività metabolica osservata durante la fase anagen.
Nella maggior parte dei pazienti in trattamento entro due mesi si riduce la perdita e dopo 4 mesi inizia la crescita che diventa massima dopo 12 mesi. Risposte positive al trattamento sono state verificate nel 40-60% dei casi, con risposte migliori in pazienti < 50 anni, con malattia da < 5 anni e con superficie interessata < 10 cm2. L’assorbimento sistemico è dell’1,4% e gli effetti collaterali a queste dosi sono trascurabili. E’ importante comunque evitare diffusioni a zone non interessate. Inoltre il farmaco è controindicato nei cardiopatici e va impiegato precocemente perché agisce sui centri germinativi non atrofici. La terapia inoltre, deve essere continuativa.
Possono essere impiegati nell’uomo farmaci antiandrogeni quali la Finasteride (Propecia) cpr 1 mg, alle dosi di 1 mg/die con efficacia superiore al Minoxidil al quale può essere associato in terapia continuativa. È abitualmente ben tollerata, non altera la spematogenesi anche se può provocare impotenza. Il farmaco è sconsigliato nelle donne. L’effetto continua finché viene continuato il trattamento.
Nei casi più gravi è possibile ricorrere al trapianto di cute occipitale cioè, l'autotrapianto di capelli. Vengono utilizzati capelli della regione parietale ed occipitale, non soggetti a miniaturizzazione poiché resistenti all'azione degli ormoni androgeni. La tecnica consiste nel "taglio" di una striscia di capelli, che sono poi ritagliate in parti molto più piccole e impiantate nella zona soggetta a calvizie.


Soluzione Schoum un antico rimedio


Utilizzato per curare vari disturbi alle vie biliari e urinarie, è assunto a volte anche come “semplice” depurativo dopo un periodo nel quale, magari, si è ecceduto a tavola. Ma da cosa è composto? E soprattutto come si utilizza? 

Formulata nel 1910 da un medico francese di Courbevoie, la soluzione di Schoum è
una miscela composta da Fumaria estratto idroalcolico (titolo in protopina non meno di 0,02%),
Ononis spinosa  estratto idroalcolico (titolo in formononetina non meno di 0,005%), Piscidia estratto idroalcolico (titolo in jamaicina non meno di 0,005%), glicerolo ed alcol etilico. Nella formula originale compariva anche in piccoli dosi il cloroformio con azione anestetica. La Fumaria è una papaveracea, agisce sul fegato svolgendo un'azione anfocoleretica ovvero aumenta il flusso di bile nelle vie biliari quando è ridotto e lo diminuisce quando viene stimolato, ma senza variarlo in caso di condizioni normali. Inoltre ha azione spasmolitica della muscolatura liscia, inibendo la contrazione dello sfintere di Oddi e la formazione di calcoli alla cistifellea. L'Ononide e la Piscidia agiscono invece sinergicamente sul distretto urinario svolgendo attività antispastica e blandamente diuretica dimostrando un utile azione preventiva nei confronti di calcoli renali, e coadiuvante in presenza di lievi infezioni urinarie e renella. Nel complesso si tratta dunque di un efficace rimedio depurativo, che utilizza per tale azione principalmente la funzionalità escretrice biliare e renale, ma anche di un rimedio che trova il suo impiego nell’insufficienza biliare e nelle infiammazioni urogenitali legate eventualmente ad una tendenza litiasica, che si può manifestare più facilmente nei grandi mangiatori di latticini e bevitori di latte e in soggetti predisposti.
Modalità di assunzione (posologia):
Per soluzione Schoum (forte) assumere 2 cucchiai da tavola (diluiti con altrettanta acqua) preferibilmente lontano dai pasti. Si ricorda che per la presenza di alcool etilico nel preparato, l’assunzione è controindicata in gravidanza, allattamento e in soggetti con insufficienza epatica severa.

 

Zenzero vs nausea e indigestione



Lo Zenzero, appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae, è una delle spezie più antiche e più importanti: è, infatti, coltivato in Asia da oltre 3000 anni. E’ una pianta erbacea perenne, voluminosa presentante un rizoma ramificato. Da quest’ultimo per essiccamento a circa 50 °C si ottiene la droga.
Composizione chimica: nel rizoma ritroviamo una oleoresina che contiene gingeroli (3%) e prodotti omologhi (shogaoli) oltre a gingedioli, metilgingedioli ed i loro diacetati un olio essenziale (1-3%), i cui componenti principali sono β-sabolene, zingiberene, geraniolo, nerale ecc.; capsaicina; diterpeni; ecc. Lo zingerone,uno dei componenti dell’oleoresina è stato il primo componente dello zenzero ad essere determinato chimicamente.



Lo zenzero è un comune condimento nei Paesi asiatici (spezia dall’aroma caldo, con una nota di legno fresco e sfumature dolci e ricche. Ha sapore caldo e molto piccante) ma rappresenta anche un efficacie rimedio contro i disturbi gastrointestinali. E’ stato osservato che lo zenzero ed i suoi componenti attivi (gingerolo, shogaoli, galanolattone) bloccano a livello gastrico i recettori 5-HT 3 della serotonina (implicati nella genesi del vomito) e di conseguenza riducono la possibilità che il segnale emetico dallo stomaco arrivi a livello centrale (cervello). Nel contempo, il blocco dei recettori serotoninergici gastroenterici causa un aumento del rilascio di Ach con conseguente aumento della motilità gastrica. Lo zenzero protegge poi la mucosa gastrica dall’irritazione provocata dai farmaci aspirino-simili (FANS) o dall’alcol e riduce i livelli ematici di colesterolo (impedendone la sintesi, ma anche l’assorbimento intestinale). Studi clinici ed alcune revisioni sistematiche raccomandano lo zenzero nel vomito gravidico, ma non in quello postoperatorio o cinetosico (da movimento). La dose di zenzero utilizzata in alcuni studi clinici è di 1 g/die di droga, mentre in altri è di 300-600 mg/die di un estratto acetonico (rapporto droga:solvente 10-20:1).


PREPARAZIONI
 
Infuso: mettere 1 g di polvere di Zenzero in 100 ml di acqua bollente, lasciare riposare per quindici minuti, quindi filtrate. Assumere al bisogno o dopo i pasti principali. Non superare i 3-4 grammi giornalieri di polvere.
Decotto: mettere 1-2 fette di radice fresca in un recipiente di acqua e bollite per dieci minuti. Si può aggiungere uno spruzzo di Cannella. Se si utilizza la radice essiccata, farne bollire 15 g, dopo averla spezzettata, per dieci minuti e quindi filtrare. Bere al mattino a digiuno o al bisogno.
Tintura: mettere 10 g di Zenzero in polvere in 100 ml di alcool a 60°, fare macerare per sette giorni circa, quindi filtrare. Posologia: 8-10 gocce in acqua. Non superare le due somministrazioni giornaliere.
Sono inoltre disponibili in farmacia formulazioni a base di zenzero (caramelle, capsule) contro la nausea gravidica e disturbi digestivi.

RINITE ALLERGICA (tutto quello che c’è da sapere)


La rinite allergica è una patologia acuta e ricorrente a carico della mucosa nasale causata da un allergene. Tale patologia rappresenta l'affezione più comune a carico delle alte vie aeree ed causata da un eccessiva reattivà del sistema immunitario o da un deficit costitutivo o temporaneo di IgA che può portare quindi ad un’eccessiva risposta anticorpale. Ciò si traduce, in presenza della molecola antigenica, nel rilascio di mediatori primari dell’allergia quali istamina, fattore chemiotattico degli eosinofili e dei neutrofili, leucotriene D, chinine etc. Tali sostanze causano com’è ben noto: vasodilatazione, aumento della permeabilità vascolare, ipersecrezione di muco, stimolazione terminazioni nervose; eventi responsabili rispettivamente dell'ostruzione nasale, dell'idrorrea, degli starnuti e del prurito e possono innescare anche asma bronchiale.



Prima di iniziare qualsiasi terapia è buona norma avere alcune accortezze:

  • Evitare quanto più possibile i pollini impiegando mascherine ed evitando l’esposizione specie nelle ore nelle quali si liberano maggiormente ad esempio quando la rugiada si è asciugata (Baraniuk, Current Therapy 2004).
  • Dormire con le finestre chiuse durante la stagione dei pollini. Tenere pulito e umidificato l’ambiente, attenzione agli animali domestici e a certi giocattoli imbottiti (Welliver, Current Therapy 2005).
  • Utili i filtri elettrostatici. Il riconoscimento e l’allontanamento dell’allergene (pollini, animali, determinati cibi, quali birra, vino, formaggi, funghi, melone ecc.) rappresenta la terapia piùefficace (Welliver, Current Therapy 2005).

    Terapia farmacologica:
    Possiamo suddividerla in preventiva e sintomatica.

    - Preventiva  

    Il cromoglicato di sodio Lomudal nasale rappresenta il farmaco che meglio si presta nella profilassi ed è disponibile anche in associazione agli antistaminici Rinofrenal. Va somministrato 4 volte/die e la sua efficacia è infe­riore ad altri farmaci ma è ben tollerato e particolarmente utile nei
    bambini. Indicato nel caso in cui gli antistaminici e i decongestionanti non risultassero efficaci. Nel caso di previsto contatto con l’allergene va impiegato due settimane prima. Una valida alternativa al cromoglicato può essere il nedocromile (Tilade e Tilarin spray nasale).

    - Sintomatica
Gli antistaminici sono i farmaci di prima scelta, specialmente nelle forme allergiche. Quelli di seconda generazione sono preferibili poiché presentano minori effetti collaterali (sedazione e aritmie) rispetto quelli di prima generazione. Loratadina Clarityn 10 mg / die impiegabile > 2 anni, Fexofenadina Telfast 120-180 mg /die impiegabile > 12 anni, Cetirizina Zirtec 10 mg /die impiegabile > 6 anni, Desloratadina Azomir 5 mg/die impiegabile > 12 anni (The Med. Letter 1152; 2003). Sono disponibili anche ad azione locale: Azelastina Allergodil spray nasale, efficace in oltre l’80% dei casi. Dose 2 spruzzi/die. Da preferire per i loro minori effetti collaterali: sonnolenza nel 10% dei casi e sapore amaro nel 20% (Estelle, N. Engl. J. Med. 351, 2203; 2004). 

Altra classe di farmaci che è possibile utilizzare nel trattamento sintomatico è rappresentata dai decongestionanti α-adrenergici per uso topico che provocano va­socostrizione tipo Fenilefrina Neosynephrine, Tramazolina Rinogutt,Efedrina Argotone e Oximetazolina Actifed (da non impiegare per più di 3-5 giorni) Danno sollievo immediato ma provocano « rebound » alla sospensione e dipendenza. Quelli per uso topico sono da preferire, pur avendo la stessa efficacia di quelli per os, presentano minori effetti collaterali . Usati a lungo possono provocare ischemia, atrofia della mucosa nasale e rinite medicamentosa per uso topico e per os ipertensione, palpitazioni, aritmie, vertigine, nausea, ritenzione urinaria ed insonnia (Wein, Current Therapy 2005). Cautela in caso di età > 65 anni o < 3 anni, tireopatie, ipertensione, angina, aritmie o depressione (Manning, Current Therapy 2005). Utili possono risultare le associazioni con antistaminici tipo Reactine e Actifed scir, cpr, nei bambini può determinare allucinazioni. Sono controindicati nei pazienti in trattamento con MAO-inibitorio triciclici (Welliver, Current Therapy 2005). 

I Cortisonici rappresentano la classe di farmaci più efficaci ma per gli effetti collaterali sono da riservare ai casi in cui i decongestionanti e gli antistaminici si sono dimostrati inefficaci o mal tollerati. L’inizio d’azione è più lento (13 gg circa) di quello degli antistaminici e decongestionanti. Preferibili quelli topici per via dei minori effetti collaterali presentanti . L’efficacia dei vari prodotti sembra sovrapponibile. La Flunisolide Lunis, il Fluticasone Flixonase e il Mometasone Rinelon sono liposolubili, sembrano più potenti e con minore biodisponibilità sistemica, sono somministrabili una volta/die e preferibili. Possono provocare irritazione locale, dilatazione capillare della parte anteriore del naso con epistassi, candidosi (Welliver, Current Therapy 2005). Consigliabile sciacquare la bocca dopo ogni applicazione per ridurre le complicanze. Nei bambini possono ridurre la crescita.
 Se le precedenti terapie hanno fallito o non sono tollerate ed il paziente presenta disturbi per oltre 4 mesi all’anno può essere di giovamento attuare un immunoterapia solitamente per via sublinguale.

Se i pazienti sono ben selezionati è efficace delle suddette terapie ed offre benefici a più lungo termine purché si continui per 3-5 anni o 3 anni dopo la scomparsa dei sintomi.


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