Resistenza agli antibiotici.. un problema da non sottovalutare


Lo sviluppo e l’impiego degli antibiotici, a partire dalla seconda metà del XX secolo, ha rivoluzionato l’approccio al trattamento e alla prevenzione delle malattie infettive e delle infezioni ritenute in passato incurabili.
Tuttavia la comparsa di resistenze agli antibiotici è al momento più veloce dello sviluppo di nuove molecole.
Negli anni, l'antibiotico-resistenza è diventata sempre più importante, soprattutto per quanto riguarda ceppi batterici la cui sensibilità a certi farmaci sembrava indiscussa (ad esempio Salmonella e cloramfenicolo); una delle principali cause di questa tendenza è un uso improprio degli antibiotici.

Distinguiamo 2 diversi tipi di resistenza:
naturale o innata → un esempio è quella dei micoplasmi che, non avendo parete cellulare, hanno una resistenza verso gli antibiotici che hanno la parete come target specifico (vedi penicilline, cefalosporine ecc.)

acquisita, che è generalmente scatenata da una precedente esposizione del batterio patogeno all'antibiotico, e si attua secondo diversi meccanismi. Tra cui: la modifica del target batterico, la produzione da parte del batterio di enzimi inattivanti l'antibiotico, la ridotta permeabilità all'antibiotico, e l'efflusso attivo che induce l'uscita dell'antibiotico stesso dalla cellula grazie ad un sistema di pompe attive.

Cause:
Il problema della resistenza agli antibiotici è complesso poiché fondato su molteplici fattori: l’aumentato uso di questi farmaci (incluso l’utilizzo non appropriato), la diffusione delle infezioni ospedaliere da microrganismi antibiotico-resistenti (e il limitato controllo di queste infezioni), un aumento dei viaggi internazionali e quindi una maggiore diffusione dei ceppi.
L’uso continuo degli antibiotici aumenta la pressione selettiva favorendo l’emergere, la moltiplicazione e la diffusione dei ceppi resistenti. Difatti l'uso eccessivo di antibiotici come la penicillina e l'eritromicina, che un tempo erano considerate "cure miracolose", sono state associate con la resistenza emergenti dal 1950. Il problema è ulteriormente aggravato dalla auto-prescrizione di antibiotici da parte di individui che ne assumono senza la prescrizione di un medico. Anche un inappropriato trattamento antibiotico costituisce un'altra comune forma di abuso di antibiotici. Un esempio comune è la prescrizione e l'assunzione di antibiotici per trattare le infezioni virali come il raffreddore comune, su cui non hanno alcun effetto.

L’antibiogramma:

È molto importante, specialmente in ambito clinico, eseguire l'antibiogramma, vale a dire la valutazione in vitro della sensibilità batterica ai chemio-antibiotici.
L'antibiogramma è un metodo che consente di valutare l'entità dell'efficacia di un antibiotico su microorganismi isolati, cioè tolti dal loro ambiente di infezione e portati in un terreno di coltura. 

Principali procedimenti dell'antibiogramma:
  • Viene prelevato un campione di fluido corporeo dal paziente (urine, feci, saliva, tampone oro-faringeo) e si isolano i microorganismi presenti in terreno di coltura, omogeneizzandoli il più possibile in maniera tale che le varie colonie siano costituite dallo stesso tipo di batterio;
  • si preleva una di queste colonie e la si trasferisce in un altro terreno di cultura, omogeneizzando il più possibile i microorganismi presenti nella superficie del terreno;
  • una volta formatesi delle colonie si prende uno strumento, dotato di piccoli cilindri all'interno dei quali sono presenti dei dischetti imbevuti di antibiotico (naturalmente ogni dischetto sarà imbevuto di un determinato antibiotico in modo tale da analizzare l'entità dell'efficacia di vari antibiotici contemporaneamente);
  • questi dischetti vengono fatti scivolare sulla superficie del terreno, in maniera tale da far diffondere il farmaco nell'agar;
  • si noterà la formazione di zone di "non crescita" attorno ai vari dischetti, dette aloni di inibizione, provocate dall'antibiotico, diffusosi nell'agar. Il quale ha inibito la crescita batterica, determinando, appunto, la formazione di tali aloni. Quindi, maggiore è l'ampiezza dell'alone di inibizione di un certo antibiotico, maggiore sarà l'efficacia di quell'antibiotico verso quel microrganismo. 
    Limitazioni di tale procedura: l'antibiogramma tuttavia, presenta un limite importante, richiede molto tempo (circa due-tre giorni) in modo tale da permettere la crescita delle colonie. Perciò tale metodo non si può utilizzare in caso di emergenze, nelle quali si utilizzano inizialmente antibiotici a largo spettro.
Definizione di resistenza batterica:
Dal punto di vista strettamente biologico, i termini sensibile e resistente esprimono la capacità o meno di un microrganismo di moltiplicarsi in presenza di una data concentrazione del farmaco.
Da un punto di vista clinico, un microrganismo può essere considerato sensibile ad un antibiotico se indagini condotte in vitro suggeriscono che un paziente infettato da quel microrganismo ha, probabilmente, la capacità di rispondere favorevolmente al farmaco, se somministrato in quantità appropriata. Il termine resistente pertanto implica che l'infezione, probabilmente, non risponde a tale terapia.
Nella pratica, il grado di sensibilità viene spesso definito quantitativamente come la più bassa concentrazione di antibiotico capace di inibire la crescita di un microrganismo. Tale concentrazione è nota come Concentrazione Minima Inibente (MIC) cioè la minima concentrazione di un antibiotico che permette la completa inibizione, o quasi, della crescita batterica in determinate condizioni.
Casi particolari:
In genere gli antibiotici, inibendo la riproduzione batterica per un periodo abbastanza lungo, permettono all'ospite di rimuovere, mediante i suoi meccanismi naturali di difesa, il batterio patogeno dalla sede d'infezione. Se tali meccanismi dell'ospite non funzionano in maniera ottimale (ad esempio in soggetti immunocompromessi) l'infezione potrebbe non essere influenzata dalla terapia o potrebbe rispondere temporaneamente e ricomparire dopo la sua sospensione. In questi casi potrebbe essere più opportuno valutare la concentrazione minima battericida (MBC) vale a dire la minima concentrazione di un antibiotico in grado di uccidere il 99.9% della popolazione batterica iniziale.
Numerosi dati statici danno ragione alla crescente preoccupazione, che l’antibiotico resistenza desta sempre più in ambito sanitario. E’ quindi, di fondamentale importanza l’uso razionale del farmaco, da parte del cittadino. Come la promozione di campagne informative, con la finalità di educare il cittadino alla consultazione del proprio medico generico o farmacista di fiducia prima di intraprendere una qualsiasi terapia antibiotica. Evitando così un’automedicazione, che può diventare pericolosa.

OSTEOARTROSI (ARTROSI) E AGENTI CONDROPROTETTORI. COME CURARSI


L’osteoartrosi o osteroartrite è una delle cause più comuni di disturbi dolorosi colpisce generalmente, circa il 50 % delle persone che hanno superato i 60 anni di età.
Tale patologia interessa soprattutto le articolazioni più sottoposte a usura, soprattutto al carico del peso corporeo, come le vertebre lombari o le ginocchia; comportando dolore dell’articolazione interessata e limitazioni nel movimento.

Fisiopatologia:

L'artrosi si instaura quando la degenerazione della cartilagine supera la capacità di sintesi cartilaginea dei condrociti.
L'articolazione interessata presenta alterazioni al livello della cartilagine quali, assottigliamento, fissurazione, formazione di osteofiti marginali e zone di osteosclerosi subcondrale nelle aree di carico. Inoltre, la membrana sinoviale si presenta iperemica e ipertrofica, la capsula è edematosa e fibrosclerotica. La patologia è degenerativa e comporta la perdita progressiva della cartilagine articolare, che viene sostituita da nuovo tessuto osseo provocando dolore e limitazione nei movimenti.

Terapia :
Spesso la principale terapia farmacologica prescritta dal medico per questa situazione patologica, è solo sintomatica e comporta massivo utilizzo di antidolorifici con non trascurabili effetti collaterali, specialmente a livello gastrointestinale.
Difatti, FANS e antinfiammatori steroidei andrebbero impiegati solo dopo un periodo di riposo e terapia fisica (fisioterapia, ionoforesi, marconiterapia) e dovrebbe essere limitato alle fasi acuzie della patologia (quando il dolore è debilitante e difficilmente sopportabile).
L’utilizzo di agenti condroprotettori invece, permette di contrastare i processi artrosici degenerativi a carico delle articolazioni, favorendo la normalizzazione della cartilagine e del liquido sinoviale.
Tra i condroprotettori più studiati vi sono:

L’acido ialuronico (Hyalgan f 20 mg). Somministrato per via intra-articolare ( per via orale l’ assorbimento è scarso o trascurabile). Si tratta di un glicosmaminoglicano composto da acido glucuronico ed N-acetilglucosamina. Permette di ripristinare le proprietà viscoelastiche del liquido sinoviale, oltre ad avere anche un effetto protettivo sui condrociti. Agisce quindi, a livello articolare, come un agente lubrificante ma anche promuovendo la sintesi di matrice cartilaginea e la riaggregazione dei proteoglicani, prevenendo altresì versamenti articolari e la tumefazione che ne derivia.

La condroitina solfato componente del proteoglicano, è il più abbondante glicosaminoglicano presente nella cartilagine articolare. Tale molecola gioca un importante ruolo strutturale a livello della cartilagine articolare, che si concreta nella capacità di legarsi alle fibrille di collagene. Le sue proprietà condroprotettive derivano dalla capacità di inibire gli enzimi che degradano la matrice cartilaginea ed il fluido sinoviale nella patologia artrosica. Di solito è di derivazione bovina ed è impiegata in associazione alla Glucosamina. Permette di rallentare/bloccare gli enzimi che degradano la cartilagine e manterrebbe la viscosità delle articolazioni alle dosi di 0,8-1,2 gr/die.

La glucosammina (Viartril f 400 mg/buste) È un aminomonosaccaride componente della cartilagine articolare. Oltre al ruolo strutturale, come agente condroprotettore la glucosamina stimola la sintesi di proteoglicani e collagene dai condrociti. Impiegata alle dosi di 0,5 gr tre volte/die è ben tollerata (diarrea, bruciori gastrici e allergie) ed avrebbe un effetto analgesico sintomatico oltre che curativo, rallentando la progressione della malattia.
L’associazione della glusammina alla condroitina permette di esplicare un’azione sinergica permettendo di contrastare al meglio lo sviluppo della patologia artrosica e il ripristino delle normali condizioni fisiologiche.

Di seguito si riportano alcuni studi dimostranti l’efficacia degli agenti condroprotettori :

Poolsup N, Suthisisang C, Channark P, Kittikulsuth W, Glucosamine long-term treatment and the progression of knee osteoarthritis: systematic review of randomized controlled trials, in The Annals of pharmacotherapy, vol. 39, nº 6, 2005, pp. 1080–7, DOI:10.1345/aph.1E576, PMID 15855241

Black C, Clar C, Henderson R, et al., The clinical effectiveness of glucosamine and chondroitin supplements in slowing or arresting progression of osteoarthritis of the knee: a systematic review and economic evaluation, in Health Technol Assess, vol. 13, nº 52, novembre 2009, pp. 1–148, DOI:10.3310/hta13520 (inattivo 2010-07-30), PMID 19903416




Farmacia: Aggiornato il tariffario nazionale delle sostanze e degli onorari


Caduceo
Il Ministero della salute ha ufficialmente approvato il decreto firmato dal ministro Lorenzin del 22/09/2017 riguardante l’aggiornamento alla corrente valuta del tariffario nazionale per la vendita al pubblico dei medicinali che modifica alcuni importanti criteri per la determinazione del prezzo dei galenici, di seguito brevemente illustrati.

L'importo delle sostanze impiegate di cui all'Allegato A del decreto ("Tabella dei prezzi delle sostanze") è stato aggiornato sulla base degli attuali prezzi di listino. Mentre per quanto riguarda le sostanze non comprese in detto allegato, vi è l’applicazione del prezzo di acquisto, mantenendo traccia della relativa documentazione di acquisto Questo significa che non si dovrà più procedere a raddoppiare il prezzo della sostanza.
Il secondo cambiamento riguarda l'importo indicato nell'Allegato B ("Tabella dei costi di preparazione) "attualizzato sulla base delle forme farmaceutiche presenti nella Farmacopea Ufficiale, che tiene conto altresì dei tempi necessari per l'allestimento delle stesse".

Vi è
poi "l'incremento del 40% sui costi di preparazione previsti dal suddetto allegato B, al fine di compensare gli oneri connessi alle attività generali, preliminari e successive all'allestimento della preparazione".
Va poi aggiunto "l'eventuale supplemento di 2,50 euro previsto per l'allestimento di specifiche preparazioni (sostanze pericolose per la salute umana, stupefacenti, dopanti), in considerazione delle specifiche normative e adempimenti da rispettare per l'allestimento delle stesse".
Infine c'è il costo del recipiente.

Il decreto modifica anche i diritti addizionali di chiamata notturna: "per le farmacie urbane e rurali non sussidiate un importo di 7,50 euro e per le farmacie rurali sussidiate un importo di 10,00 euro". Rimosso invece l’ addizionale di chiamata diurna se non "esclusivamente per le farmacie rurali sussidiate e quantificato in 4, 00 euro. Tali diritti addizionali sono dovuti soltanto quando la farmacia effettua servizio a battenti chiusi o a chiamata".
La Federazione inoltre, ricorda che «sui medicinali galenici allestiti in farmacia e pagati interamente dal paziente è praticabile lo sconto, purché sia applicato a tutti gli acquirenti e ne sia data adeguata informazione alla clientela». Copia della Tariffa va conservata, anche in formato elettronico, e deve essere resa visibile a chiunque ne faccia richiesta. Una misura quest'ultima, proposta dalla Federazione e accolta dal Dicastero.


Di seguito si riportano i link per scaricare le nuove tabelle aggiornate e il decreto del ministero della Sanità, pubblicati dal sito della F.O.F.I.





AIFA importante nota informativa su Gilenya (fingolimod)


Gilenya è un farmaco indicato in monoterapia, come farmaco modificante la malattia, nella sclerosi multipla recidivante-remittente ad elevata attività nei seguenti gruppi di pazienti adulti: - Pazienti con un’elevata attività di malattia nonostante la terapia con interferone-beta o Pazienti con sclerosi multipla recidivante-remittente grave ad evoluzione rapida.
Meccanismo d’azione:
Gilenya (fingolimod) è un modulatore del recettore per la sfingosina-1-fosfato (S1P). Per azione della sfingosinachinasi fingolimod si trasforma nel suo metabolita attivo fingolimod fosfato. Il quale, si lega a basse concentrazioni, al recettore S1P1 localizzato sulla superficie dei linfociti. Il farmaco in forma attiva, attraversa inoltre facilmente la barriera emato-encefalica per legarsi, nel SNC, al recettore S1P1. Fingolimod fosfato agisce come antagonista funzionale su tali recettori, espressi sui linfociti, inibendo la capacità dei linfociti di fuoriuscire dai linfonodi, determinando quindi una ridistribuzione anziché distruzione degli stessi. Questa ridistribuzione riduce l’infiltrazione dei linfociti patogeni nel SNC dove sarebbero coinvolti nell’infiammazione a carico dei nervi e nel danno tissutale. Studi su animali e in vitro indicano inoltre che fingolimod puo agire anche mediante l’interazione con i recettori S1P espressi sulle cellule del sistema nervoso centrale.


L’AIFA ha pubblicato sul portale una Nota Informativa Importante per informare gli operatori sanitari che sono state rafforzate le avvertenze contro l’uso di Gilenya (fingolimod) in pazienti con disturbi cardiaci pregressi.
Fingolimod è ora controindicato in:
  • Pazienti con infarto del miocardio, angina pectoris instabile, ictus, attacco ischemico transitorio, insufficienza cardiaca scompensata o insufficienza cardiaca di classe III/IV.
  • Pazienti con gravi aritmie cardiache.
  • Pazienti con blocco atrio-ventricolare (AV) di secondo grado tipo Mobitz II o con blocco AV di terzo grado o con sindrome del nodo del seno, se non sono portatori di un pacemaker.
  • Pazienti con un intervallo QTc basale ≥ 500 millisecondi.

FDA approva un nuovo farmaco per il trattamento del linfoma mantellare


La Food and Drug Administration (FDA), ha approvato l’acalabrutinib (Calquence) per il trattamento del linfoma mantellare negli adulti che non hanno risposto al trattamento convenzionale o sono recidivi.
Il linfoma mantellare è un tumore molto aggressivo. Rappresenta un raro tipo di linfoma non-Hodgkin, caratterizzato da crescita rapida.
Calquence rappresenta una nuova opzione di trattamento che negli studi iniziali ha mostrato elevati livelli di risposta per alcuni pazienti. L’acalabrutinib per l’appunto è un inibitore di di chinasi che agisce bloccando un enzima necessario per la progressione del tumore.
Per Calquence l’FDA è ricorsa al percorso di approvazione accelerata, basandosi sui dati provenienti da un trial che ha incluso 124 pazienti con linfoma mantellare che avevano già ricevuto almeno un trattamento. Il trial ha misurato il tasso di risposta globale, la percentuale di pazienti nei quali si è assistito a una regressione completa o parziale del tumore dopo il trattamento, che si è attestato all’81% dei casi (40% risposta completa, 41% parziale).
Gli effetti collaterali comuni di Calquence comprendono mal di testa, diarrea, ecchimosi, affaticamento e dolore muscolare, anemia, trombocitopenia e neutropenia. Tra quelli gravi, invece, emorragie, infezioni e fibrillazione atriale. In alcuni pazienti sono insorte malignità secondarie. Per i potenziali gravi danni che potrebbe causare al neonato, le donne che allattano non dovrebbero assumere il medicinale.
L’FDA ha designato Calquence terapia innovativa e farmaco orfano, approvandolo con “Priority Review”.
Di seguito si riporta il link all’articolo originale

Sindrome climaterica e trifoglio rosso


Il climaterio è un periodo compreso tra la premenopausa (quando il ciclo è irregolare, dura anche 6-8 anni) e la menopausa ovvero la totale assenza di ciclo mestruale per almeno 12 mesi.
Il passaggio dalla fertilità alla menopausa è provocato dalla riduzione del flusso ormonale di estrogeni; quest'ultimo è anche ritenuto responsabile della sintomatologia climaterica.
A tal proposito possiamo distinguere diverse fasi che sono concausa della sindrome climaterica che interessa il 75 % circa delle donne in questa fase della loro vita. Infatti, occorre precisare, che non tutte le donne che entrano in menopausa soffrono di sindrome climaterica.
 
1) Premenopausa → Cessa l’attività luteinica con relativo iperestrenismo, menorragie, metrorragie e amenorrea

2) Menopausa

3) Postmenopausa → Rapido e progressivo calo della produzione di estrogeni con aumento delle gonadotropine ipofisarie ed in particolare dell’FSH.
Sintomi:
menopausa


I principali sintomi che accompagnano la sindrome climaterica sono crisi vasomotorie, parestesie, insonnia, sudate notturne, depressione, irritabilità, vertigini, palpitazioni..; tali sintomi tendono poi ad esaurirsi in qualche anno.
I Fitoestrogeni e il trifoglio rosso
fitoestrogeni
I fitoestrogeni, o estrogeni vegetali, sono sostanze naturali ad attività similestrogenica, ovvero, sono in grado di legarsi (grazie alla loro struttura chimica) ai recettori degli estrogeni ed espletare, attività biologiche di tipo estrogenico o antiestrogenico a seconda della loro concentrazione, di quella degli estrogeni endogeni (prodotti dall'organismo) e da alcune caratteristiche individuali quali concentrazione tissutale di recettori ed enzimi coinvolti nel metabolismo di questi ormoni.

Diversi studi scientifici hanno permesso di far luce sul ruolo nutrizionale e terapeutico degli alimenti o dei supplementi dietetici ricchi in fitoestrogeni. In particolare, è stata condotta un indagine, sulla base di osservazioni epidemiologiche sulle popolazioni asiatiche (la cui alimentazione risulta particolarmente ricca di soia). Dall'esame di questi dati, e dal loro confronto con i corrispettivi di popolazioni occidentali, è emersa una minore incidenza di disturbi associati alla menopausa, un minor rischio cardiovascolare, minor incidenza di tumori alla mammella, all'endometrio e all'ovaio, e di fratture osteoporotiche dell'anca.

Integratori Alimentari:
Il trifoglio rosso insieme alla soia rappresentano le principali fonti di fitoestrogeni.

Il trifoglio è pianta erbacea perenne molto diffusa e appartenente alla famiglia delle Fabaceae, il Trifoglio rosso (Trifolium pratense) vanta una lunga lista di proprietà benefiche. Può essere utilizzato come integratore sotto forma di capsule da ingerire, oppure per preparare infusi caldi da bere, ma anche come base per la preparazione di impacchi da applicare a livello topico.
La droga è costituita dai fiori di trifoglio rosso, che contengono: olio volatile, flavonoidi, derivati della cumarina e glicosidi cianogenici. Tra i flavonoidi spiccano gli isoflavoni, fitoestrogeni naturali molto studiati per i loro effetti antiossidanti e similestrogenici. Essi sono importanti per ristabilire l’equilibrio ormonale, in particolare, in tutte le patologie correlate alla menopausa compresa la sindrome climaterica. Tra i fitoestrogeni presenti nel trifoglio abbiamo la biocianina, precursore della genisteina che rappresenta uno dei fitoestrogeni con il maggiore potenziale antiossidante (tre volte superiore a quello della vitamina C) e un ruolo cruciale nell'inibire la crescita delle cellule tumorali, e la daidzeina. Tra le vitamine contenute in questa pianta figurano la A, la B12, la E, la K e la C. Anche il contenuto di calcio, fosforo, potassio, magnesio e cromo è significativo.
Proprietà e impiego:
Grazie quindi alla sua preziosa composizione, il trifoglio rosso può essere utilizzato come un valido integratore alimentare di fitoestrogeni per vari disturbi:
  •   Prevenzione e cura dei sintomi (vampate di calore, secchezza dei genitali, rughe, fragilità dei capelli, disturbi del sonno, irritabilità, depressione, incidenza di manifestazioni vasomotorie e i livelli di colesterolo totale) e delle patologie correlate alla menopausa (come alternative naturali alla terapia ormonale sostitutiva)
  • Prevenzione della sindrome premestruale e dell'invecchiamento (grazie alla sua azione antiossidante);
  • Miglioramento del metabolismo osseo

Si ricorda, tuttavia, che come tutte le piante officinali, è sempre preferibile chiedere il parere del medico prima di intraprendere terapie o assumere integratori per periodi prolungati, anche per escludere effetti spiacevoli causati dall’eventuale interazione con alcuni tipi di farmaci.

OMEOPATIA scienza o fantasia ?


La grande differenza tra la medicina classica e l'omeopatia (dal greco homoios, simile, e pathos, malattia) sta proprio nella sua definizione, coniata nella prima metà del XIX secolo dallo stesso fondatore, il medico tedesco Samuel Hahnemann. Alla base della medicina omeopatica sta infatti l'indimostrata legge di similitudine, concetto espresso da Hahnemann, secondo il quale una sostanza assunta a dosi ponderali può provocare in un individuo sano sintomi e segni patologici, mentre la stessa sostanza somministrata in dosi infinitesimali, può guarire una persona malata con gli stessi sintomi. Si tratta di un concetto privo di fondamento scientifico.
 
La sostanza utilizzata per curare la patologia identificata, è detta anche "principio omeopatico", ed una volta individuata viene somministrata al malato in una quantità fortemente diluita e dinamizzata.
Curare significa per il medico omeopata confrontare i sintomi riferiti dal soggetto malato con i sintomi indotti dalle sostanze sperimentate e somministrare al paziente quel rimedio che nel soggetto sano provoca una sindrome simile.

Limitazioni e criticità nell’omeopatia

Allo stato attuale, nessuno studio scientifico, pubblicato su riviste di valore riconosciuto, ha potuto dimostrare che l'omeopatia presenti una minima efficacia per una qualsiasi patologia.
Gli unici risultati statisticamente significativi sono confrontabili con quelli derivanti dall'effetto placebo e quindi non dal farmaco assunto dal paziente.

Diversi studi clinici condotti su singoli rimedi o sul trattamento di specifiche patologie, dimostrano che gli esiti appaiono assolutamente in linea col noto effetto placebo.
Inoltre nel febbraio 2010 sono stati pubblicati i risultati di una ricerca sulle prove di efficacia dell'omeopatia, condotta nel 2009 e 2010 dalla commissione Science and Technology della Camera dei Comuni britannica: lo studio conclude che l'omeopatia non ha effetti superiori a quelli di un placebo. La commissione la considera pertanto un "trattamento placebo" (placebo treatment) e dichiara che sarebbe una "cattiva pratica medica" (bad medicine) prescrivere placebo puri.
Mancanza di efficacia terapeutica

La validità dell'omeopatia non è mai stata dimostrata mediante esperimenti o ricerche. Gli studi condotti in base ai principi della scienza medica ne hanno viceversa dimostrato l'inefficacia in quanto incompatibile con le odierne conoscenze chimiche, biologiche e farmacologiche.

L'opinione degli omeopati, contraria all'evidenza scientifica, è che diluizioni maggiori della stessa sostanza non provocherebbero una riduzione dell'effetto farmacologico, bensì un suo potenziamento. In realtà le diluizioni usate nell'omeopatia sono così elevate da rendere il prodotto omeopatico semplicemente composto dall'eccipiente usato per la diluizione (acqua, zucchero o amido o altro solvente).
Si ricorda infatti, che per produrre l’effetto desiderato il farmaco deve avere una concentrazione tale da poter produrre una risposta farmacologica di una certa intensità (dose efficace). Concentrazioni più basse daranno risposte sempre minori fino a non produrre alcuna risposta nel paziente. In particolare, una concentrazione del farmaco inferiore a quella della sua dose minima efficace non produrrà alcuna risposta farmacologica.

Diluizioni e principi di Chimica


La diluizione, concetto fondamentale sul quale si appuntano le critiche maggiori, viene detta in omeopatia "potenza". Le potenze sono in realtà diluizioni 1 a 100 (potenze centesimali o potenze C o anche CH) o diluizioni 1 a 10 (potenze decimali o potenze D o anche DH). In una diluizione C una parte di sostanza viene diluita in 99 parti di diluente e successivamente "dinamizzata", ovvero agitata con forza secondo un procedimento chiamato dagli omeopati "succussione"; in una diluizione D, invece, una parte di sostanza viene diluita in 9 parti di diluente e sottoposta poi alla stessa dinamizzazione.
I solidi insolubili vengono triturati e diluiti un certo numero di volte con zuccheri (ad esempio lattosio) e successivamente diluiti in acqua.
Ogni sostanza omeopatica pronta per l'impiego riporta il tipo di diluizione e la potenza. Ad esempio, in un rimedio con potenza 12CH la sostanza originaria è stata diluita ogni volta 1 a 100 per 12 volte, per un totale di una parte su 10012.
Una potenza 12D, equivale invece ad una soluzione la cui concentrazione è una parte su un milione di milioni (1012).
Numerosi preparati omeopatici sono diluiti a potenze ancora maggiori, in qualche caso sino a 30CH ed oltre.
A potenze elevate, e in particolare a partire proprio da 12C o da 24D, le leggi della chimica provano che il prodotto finale è così diluito da non contenere più neppure una molecola della sostanza di partenza. Infatti, il numero di molecole contenuto in una mole di sostanza è dato dal numero di Avogadro, che è uguale a circa 1024 molecole/mole (6,02214179(30) 1023 mol −1): quindi, mediante una diluizione 12C o una 24D della stessa mole di sostanza, si raggiunge un livello di concentrazione pari a 0,6022 molecole, il che comporta, (premesso che ogni molecola è di per sé indivisa) che l'ultimo quantitativo di soluzione contenga una sola molecola del farmaco, su 6,02214179x1023 molecole di solvente. Diluizioni ulteriori della sostanza risultano quindi prive di qualunque traccia della sostanza stessa. Questa esigua ed incerta presenza del rimedio omeopatico di partenza, dopo la preparazione per diluizioni successive, rende indistinguibili preparati omeopatici originariamente diversi fra loro e destinati a specifiche terapie. Infatti, se dopo le succussioni, a un certo numero di contenitori di preparazioni diverse fra loro vengono rimosse le etichette identificative e gli stessi disposti in ordine del tutto casuale, non esiste alcun metodo di analisi chimico-fisica che possa distinguerli, consentendo di riposizionare su ciascuno dei medesimi le etichette originali.

L’omeopatia non è fitoterapia !

È diffusa l’opinione, totalmente errata, che l’omeopatia sia una sorta di fitoterapia o addirittura di erboristeria. La confusione nasce probabilmente da concetti come il cosiddetto “naturale” o perché molti medicinali omeopatici hanno come principio una sostanza di origine vegetale. L’omeopatia non ha nulla a che vedere con la fitoterapia. Quest’ultima, utilizza molecole estratte da piante o parti di esse (fitocomplessi o estratti standardizzati) a concentrazioni in cui valgono le leggi della chimica, paragonabili a quelle dei farmaci convenzionali e di comprovata efficacia terapeutica. Inoltre, la differenza sostanziale è sul principio poiché la fitoterapia si avvale della sostanza/fitocomplesso che elimina o riduce la malattia/disturbo, l'omeopatia impiega invece quella che la provoca.


Aspetti legislativi

Nonostante non sia stata prodotta alcuna prova, accettata dalla comunità scientifica internazionale, che l'omeopatia sia una metodica valida. Tuttavia la legislazione delle diverse nazioni ne ha inquadrato l'utilizzo. La direttiva 2001/83/CE dell'Unione Europea definisce medicinale omeopatico "ogni medicinale ottenuto a partire da sostanze denominate materiali di partenza per preparazioni omeopatiche o ceppi omeopatici, secondo un processo di produzione omeopatico descritto dalla farmacopea europea o, in assenza di tale descrizione, dalle farmacopee utilizzate ufficialmente negli Stati membri della Comunità europea; un medicinale omeopatico può contenere più sostanze". Tuttavia, (qui la prima contraddizione), l'art. 8 della suddetta direttiva prescrive chiaramente che il foglietto illustrativo o la confezione debba riportare obbligatoriamente la seguente dicitura "senza indicazioni terapeutiche approvate". In modo tale da garantire informazione e cautela. Tale paradossale definizione, da una parte, inquadra il preparato come "medicinale”, dall'altro obbliga il produttore a dichiararne la sostanziale inefficacia ai fini terapeutici.
Inoltre, sempre la legislazione corrente vieta la pubblicità dei medicinali omeopatici ed anche il foglietto illustrativo è assente in confezione (per il semplice motivo che il produttore non potrebbe riportare alcuna indicazione terapeutica comprovata e dimostrata). Ne consegue che, a parte l'automedicazione, solo il medico o il farmacista possono, rispettivamente, prescrivere o consigliare un prodotto omeopatico al posto di uno convenzionale. Con ciò appare piuttosto evidente, che anche in questo caso, vi è un’ altra contraddizione da parte del legislatore. Ovvero, da una parte si definisce il preparato omeopatico "medicinale" e si obbliga a venderlo solo in farmacia, dall'altra si obbliga a trattarlo, dal punto di vista informativo, per quello che sostanzialmente è: nulla.
Un'altra contraddizione sta nel fatto che il medicinale omeopatico, in diversi casi costituito esclusivamente da zucchero o acqua (vedi oscillococcinum), debba essere solo prescritto da medici (o pediatri o veterinari) oppure suggerito dal farmacista, e comunque venduto esclusivamente in farmacia. Questo però deriva dal semplice fatto che, per legge, il prodotto omeopatico è “medicinale” e pertanto solo i farmacisti possono fornirlo al paziente (o il medico se lo prepara egli stesso).
Tale situazione, porta a confondere il cittadino in quanto si potrebbe intendere che i preparati omeopatici abbiano una qualche utilità, quando invece è dimostrato il contrario. 

Bibliografia:

  • Simon Singh; Edzard Ernst, Aghi, pozioni e massaggi. La verità sulla medicina alternativa, Rizzoli, settembre 2008, ISBN 978-88-17-02601-7.
  • Samuel Hahnemann. Scritti omeopatici. 1795-1833, a cura di Andrea L. Carbone,: duepunti edizioni, Palermo 2009. ISBN 978-88-89987-29-2
  • Samuel Hahnemann. Organon der Heilkunst, 1842 (6. ed.).
  • Cagliano S, Fraioli L. La fisica dell'omeopatia, Le Scienze 452, marzo 2005.
  • Becker-Witt C, Lüdtke R, Willich SN. The course of chronic disease under homeopathic treatment– results of a multicenter observational study. Gac Sanit 2003; 17(Suppl 2):174
  • Becker-Witt C, Lüdtke R, Weber K, Willich SN. The effects of homoeopathic therapy on health-related quality of life, Focus on Alternative and Complementary Therapies 2003; 8: 125.
  • Jonas, Wayne B.; Kaptchuk, Ted J.; Linde, Klaus. A Critical Overview of Homeopathy, Ann Intern Med. 2003;138:393-399.
  • Shang A, Huwiler-Müntener K, Nartey L, Jüni P, Dörig S, Sterne JA, Pewsner D, Egger M. Are the clinical effects of homoeopathy placebo effects? Comparative study of placebo-controlled trials of homoeopathy and allopathy
  • The Lancet - Vol. 366, Issue 9487, 27 agosto 2005, pagg. 726-732
  • Omeopatia: gli studi scientifici che ne provano l'efficacia, Guna Ed., maggio 2004, Milano, seconda edizione.
  • Roberto Germano, AQUA. L'acqua elettromagnetica e le sue mirabolanti avventure, Bibliopolis ed., 2007.
  • Homeopathy, Volume 96, Issue 3: The Memory of Water, July 2007, Pages 141-230
  • Robert L. Park. Voodoo Science, Oxford University Press, 2002, pages 46–67.
  • Ben Goldacre. Benefits and risks of homoeopathy. The Lancet - Vol. 370, Issue 9600, 17 November 2007, Pages 1672-1673
  • Silvio Garattini et al., Acqua fresca? - Tutto quello che bisogna sapere sull'omeopatia, Sironi Editore, 2015, ISBN 978-88-518-0248-6.



FDA approva una terapia genica per il trattamento di alcuni tipi di linfomi a grandi cellule B

Si riporta il comunicato dal sito dell'AIFA:
La statunitense Food and Drug Administration (FDA) ha approvato Yescarta (axicabtagene ciloleucel), una terapia genica per il trattamento di alcuni tipi di linfomi a grandi cellule B negli adulti che non hanno risposto o hanno subito una ricaduta dopo almeno due precedenti trattamenti.

Le indicazioni di Yescarta comprendono il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL), il linfoma diffuso a grandi cellule B primitivo del mediastino, il linfoma a cellule B ad alto grado e il DLBCL derivante dal linfoma follicolare, mentre non è stato approvato per il trattamento del linfoma primario del sistema nervoso centrale.

Il linfoma diffuso a grandi cellule B è il tipo più comune di linfoma non-Hodgkin negli adulti.

Yescarta, la seconda terapia genica approvata dall’FDA, è una terapia CAR-T cell, ovvero prevede l’utilizzo di linfociti T geneticamente modificati con recettori chimerici per l’antigene.

La sicurezza e l’efficacia di Yescarta sono state valutate in uno studio clinico multicentrico su oltre 100 adulti con linfoma a cellule B di tipo refrattario o recidivante. Il tasso di remissione completa dopo il trattamento con Yescarta è stato del 51%.

Yescarta può causare gravi effetti collaterali, anche pericolosi o fatali per la vita, come la sindrome da rilascio di citochine (CRS), una risposta sistemica all’attivazione e alla proliferazione di cellule CAR-T che provoca febbre alta, sintomi influenzali e tossicità neurologiche. Altri effetti indesiderati includono infezioni gravi, abbassamento dei livelli di cellule del sangue e indebolimento del sistema immunitario. Gli effetti indesiderati si manifestano solitamente entro le prime due settimane, ma alcuni possono verificarsi anche in seguito.

A causa di questi rischi, per l’approvazione di Yescarta è stata seguita una strategia di valutazione e riduzione del rischio (REMS), in base alla quale è richiesto che i medici prescrittori siano particolarmente certificati, in grado di riconoscere e gestire la CRS e le tossicità del sistema nervoso, e i pazienti vengano informati dei potenziali effetti collaterali.

Per valutare ulteriormente la sicurezza a lungo termine, l’FDA ha richiesto al produttore anche di condurre uno studio osservazionale post-marketing che coinvolga pazienti trattati con Yescarta.



Per la notizia originale vai al sito dell’FDA

CALCOLI RENALI guida alla prevenzione e terapia


La calcolosi renale, o urolitiasi, è una condizione clinica caratterizzata dalla presenza di uno o più calcoli di dimensioni variabili,contenuti all’interno delle cavità escretrici del sistema urinario.
Quando è formata da cristalli di dimensioni molto ridotte, come granelli di sabbia, prende il nome di renella, ed è formata soprattutto da urati e fosfati.
I calcoli urinari si formano tipicamente nel rene e possono spostarsi all'interno del apparato urinario fino a lasciare l'organismo insieme al flusso di urina.
Se un calcolo diventa più grande di 5 millimetri, può causare il blocco dell'uretere con un
conseguente forte dolore nella parte bassa della schiena o dell'addome che si estende fino all’inguine (colica renale).

colica renale
La colica è comunemente accompagnata da stimolo urinario, irrequietezza, ematuria, sudorazione, nausea e vomito. Si tratta tipicamente di fitte della durata variabile tra i 20 e i 60 minuti, causate dalle contrazioni peristaltiche dell'uretere che tenta di espellere il calcolo.
In caso di coliche renali è necessario oltre al riposo a letto un’abbondante introduzione di liquidi per os o per via parenterale se c’è vomito: 3-4 l/die.
L’assunzione di analgesici quali ketorolac (Toradol) o in alternativa Diclofenac (Voltaren) 75 mg è necessaria per il controllo del dolore.
Altresì è indicata l’assunzione di spasmolitici Es. Buscopan, Genurin 1-2 f ev o im seguite da 1-2 fiale diluite in flebo in caso di somministrazione di liquidi.
Risolta la fase acuta, si cercherà di favorire l’eliminazione del calcolo mediante introduzione di grandi quantità di liquidi associati a spasmolitici (colpo d’acqua), se non si ottengono risultati si potrà ricorrere a cateterismo ureterale ed estrazione tramite estrattori o a litotrisia.
 
Il rischio di calcolosi renale è del 20% negli uomini e del 5-10% nelle donne (Nakada, Current Therapy 2003). Dopo il primo episodio il rischio di recidive, senza terapia, è del 50% a 5 anni e del 70% a 10 (Pearle, Current Therapy 2004). 

Un’adeguata terapia invece, riduce le recidive anche del 90%.

 
Prevenzione:

Un'abbondante introduzione di liquidi (in particolare acque oligo-minerali) da somministrare anche durante la notte è la prima accortezza da prendere. La diuresi giornaliera, che dovrà essere minimo di 2 litri anche se 3-4 sono preferibili infatti una diuresi di 2-3 l/die, riduce l’incidenza di calcolosi renale del 75% (Pearle, Current Therapy 2004).

L’assunzione di Soluzione Schoum può aiutare nel caso di infiammazioni urogenitali legate ad una tendenza litiasica, oltre a favorire la diuresi per la sua blanda azione diuretica;
Evitare farmaci che favoriscono la formazione di calcoli quali gli inibitori delle proteasi: Indinavir;
Una dieta in rapporto alla natura dei calcoli aiuta ad evitare eventuali recidive (vedi sotto)

Terapia specifica suddivisa per tipologia di calcoli:

- Acido urico: solitamente hanno un incidenza del 5-10 %

Dieta: Limitazione dei cibi carnei compresi i pesci.
Evitare cioccolata, fagioli, piselli, spinaci, tè, caffè e vino. Saranno permessi: caffè decaffeinato, frutta, formaggi, latte, latticini e uova.

Terapia: Alcalinizzanti urinari possono sciogliere calcoli già formati. È preferibile utilizzare il citrato di potassio contenuto nell’Uralyt-U alle dosi di 10-30 mEq/12h o 4 misurini/die. Il pH dovrà essere elevato > 6,5, ma < 7, per evitare precipitazione di fosfati (Troxel, Current Therapy 2002). Ad un pH di 5 l’urina può contenere disciolti 60 mg di urati/litro, a pH 6 ne può contenere 220 mg.
In caso di iperuricemia ed escrezione urinaria di acido urico > 750 mg/die nel uomo o > 600 mg/die nella donna o > 11 mg/kg/die (Pearle, Current Therapy 2004) bisogna somministrare Allopurinolo Zyloric cps 100-300 mg, bust 300 mg, alle dosi di 300-600 mg/die.
I calcoli possono sciogliersi in 3-6 mesi di terapia, dopodiché può essere sospesa, a meno che il paziente non abbia gotta, tumore, ileostomia.

- Fosfato e/o Ossalato di Calcio: Incidenza del 5-10% per il Fosfato e 70-80% per l’Ossalato di calcio (i più comuni)

Dieta: Diminuire l’apporto di calcio (latte e latticini) con la dieta ed ingerire molti cereali ricchi di acido fitico che legandosi al calcio, forma un composto insolubile e non assorbibile. Il calcio della dieta non deve essere ridotto < 0,4 gr/die, altrimenti aumenta l’escrezione renale di ossalato e diminuisce quella del pirofosfato (Cooper, Current Surg. Diag. & Treat. 2003). 
La restrizione del Sodio < 100 mEq/die ,invece, riduce l’assorbimento intestinale del calcio e associata alla restrizione delle proteine animali sarebbe più efficace della restrizione del calcio nella prevenzione dei calcoli di ossalato (Borghi, N. Engl. J. Med. 346, 77;2002).
Evitare eccessi (> 1 gr) di vitamina C che, in alcuni casi, può essere metabolizzata ad ossalato. Sconsigliabili cibi quali cioccolata, spinaci, cavoli, pomodori, piselli, rabarbaro, asparagi, tè, aranciata, limonata, coca-cola, pompelmo, tutti ricchi di ossalati che, in assenza del calcio, rimangono nella forma assimilabile provocando iperossaluria.

Terapia: I diuretici Tiazidici riducono la calciuria del 50% aumentando il riassorbimento di Calcio nel tubulo distale. Idrocloratiazide (Esidrex) 25-50 mg/die, (il massimo effetto si ha in 1-2 settimane). Efficaci nel 90% dei casi.
Entro 5 anni l’effetto si riduce. Una dieta iposodica ne potenzia l’effetto.
L’assunzione di fosfato acido di potassio 2-6 gr/die. Diminuisce l’assorbimento intestinale del calcio e quindi la calciuria. Controindicato in caso di insufficienza renale. Effetti collaterali: dispepsia e diarrea. Se compare diarrea diminuire le dosi. Iniziare con piccole dosi dopo i pasti. Controindicazioni: ulcera peptica e patologia colica.
I citrati sono potenti inibitori della formazione di calcoli di ossalato di calcio e una ipocitraturia c’è nel 40% della calcolosi di calcio.
L’ipocitraturia può essere dovuta ad acidosi tubulare renale, esercizi fisici estremi, diarrea cronica ecc. Se i livelli di citrato sono < 320 mg/die sarà utile aggiungere delle spremute di limone nell’acqua che si beve. Utile anche il citrato di potassio, 40-60 mEq/die, che determina una aumentata escrezione renale di potassio e citrati.

-Cistina hanno un incidenza dell’ 1-2%

Dieta: deve essere il più possibile povera di metionina, precursore della cistina, quindi bisogna evitare uova (specie l’albume), carne di vitello e maiale, latte vaccino, aringhe e frutta secca.
E’ importante un’ abbondante assunzione di acqua duranti i pasti e al momento di coricarsi fino ad ottenere una diuresi di 3 litri/die e alcalinizzanti (fino a 2 gr di bicarbonato o 40 mEq di citrato di potassio) al fine di mantenere il pH urinario > 7,5 .
Utile anche il citrato di potassio perchè determina una aumentata escrezione renale di potassio e citrati (Joel, Current Therapy 2005). È la cosa più importante che rende spesso non necessaria la terapia medica.

Terapia: Bisogna mantenere la cistinuria < 200 mg/L.
Tiopronina o α-mercapto propionylglicina (Thiola) cpr 250 mg, f im ev 100-250 mg. E’ di scelta anche se è più efficace nella prevenzione che nel trattamento. Lega la cistina e ne aumenta la solubilità, ha scarsi effetti collaterali quindi preferibile rispetto alla d-penicillamina impiegata in passato (Joel, Current Therapy 2005). Dose: 0,5-1 gr/die in modo da mantenere la concentrazione urinaria di cistina < 300 mg/L. È indicata se la cistinuria è > 800-1.000 mg/die e la terapia idrica e alcalinizzante è inefficace (Pearle, Current Therapy 2004).
D Penicillamina Pemine è capace di trasformare la cistina in sostanza solubile, ma spesso è mal tollerata (rash, proteinuria, agranulocitosi, artralgie, febbre) e quindi raramente impiegata. Ogni grammo è in grado di solubilizzare 3 gr di Cistina.

-Struvite o fosfato triplo ammonio-magnesio e carbonato di calcio apatite

Sono frequenti nelle donne con infezioni recidivanti e persone con patologie predisponenti alla stasi urinaria. Si formano, infatti, in urine alcaline per infezioni da batteri produttori di ureasi (Proteus, Klebsiella, Pseudomonas, Serratia). Si verifica una sovrasaturazione di fosfato di calcio, ammonio e magnesio che precipitano sotto forma di cristalli di struvite a cui spesso si associano idrossiapatite (fosfato di calcio diidrato) e carbonato di calcio.  

Fondamentale è la terapia mirata delle infezioni urinarie. Spesso occorre rimuovere tutti i calcoli per debellare l’infezione. Gli antibiotici andranno mantenuti per 6-12 mesi.
Un eventuale terapia chirurgica di anomalie delle vie urinarie e rimozione dei calcoli presenti spesso è necessaria. Altre accortezza: Ridurre l’apporto di Mg evitando antiacidi e lassativi che lo contengono. Mantenere la fosfaturia < 500 mg/die con la dieta e idrossido di alluminio.

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